Si, lo confesso, sono colpevole: ho bevuto una Coca-Cola. Ho fatto di peggio in realtà ho comprato l’insalata in busta del supermarket e ho buttato nella spazzatura il cavolo-verza biologico che veniva dai nostri orti. Lo so, sono un mostro, faccio schifo, mi vergogno di me stessa.
La Madre Terra mi punirà perché mangio il prosciutto già affettato nella vaschetta di plastica io che respiro ogni giorno aria pulita, io che contemplo ogni sera gli ettari di vigneti coltivati senza pesticidi, io che allevo animali allo stato semi brado nei boschi del Chianti.
E allora perdiamo il controllo e distruggiamo il paradiso. Da dove volete che inizi?
Inizierò col dire che persino qui dove il cielo è più blu e siamo tutti eco-politicamente corretti c’è il rovescio della medaglia; e il rovescio della medaglia che mi ha condotto dritta al banco delle bevande gassate è il cavolo-verza. Sul cavolo-verza voglio essere chiara: mi fa schifo. Mi hanno sempre fatto schifo sin dalla più tenera infanzia la zuppa di cavolo, la minestra di cavolo, il cavolo lesso e anche quello fritto. Ogni mattina S. la cuoca del nostro ristorante esce dalla cucina, discende alcuni scalini in pietra locale, entra nei riquadri dell’orto e inizia la raccolta delle verdure che gli serviranno per preparare i piatti del menù, in questa stagione l’orto è sovraccarico di primizie e S. ci regala generosamente tutto quello che abbonda, la roba è così tanta che spesso fare la spesa sarebbe inutile se non fosse….se non fosse che a seguire la natura non si può scegliere, si prende quello che c’è e questo è il mese del cavolo-verza. E poi c’è un altro problema serio da risolvere per una che lavora tutto il giorno e la sera torna a casa stanca morta: il cavolo-verza e tutti i suoi amici e colleghi dell’orto hanno bisogno di essere puliti, lavati, cucinati operazioni che, alla fine di una giornata, finiscono per consumare il poco tempo libero che mi rimane e che serve, ad esempio, a scrivere questo post.
E poi volete saperlo? Il cavolo-verza non ha un bell’aspetto come non ce l’hanno le carote o la rucola…il sapore si, il sapore è grandioso e addentare una carota qui da noi è un’esperienza mistica che ti fa chiedere: ma se QUESTA è LA CAROTA cos’è quella cosa arancione avvolta nel cellophan che ho mangiato fino a ieri? Ma all’aspetto la carota si presenta piuttosto piccola e spesso bucherellata e bitorzoluta. Dal momento che le nostre piante non vengono irrorate con gli antiparassitari ci sono tanti animaletti che se le mangiucchiano e noi, di fatto, ci mangiamo quello che loro hanno lasciato. Se fossero solo i bitorzoli delle carote potrei anche chiudere un occhio, ma il vero problema del biologico è l’allevamento degli animali senza l’impiego di farmaci o preparati chimici. Da quando sono qui le nascite degli animali sono un evento raro e occasionale, le morti purtroppo sono molto più frequenti: abbiamo avuto pestilenze che hanno decimato i conigli, mali misteriosi che hanno ucciso i pulcini appena nati, pidocchi e acari che hanno attaccato i polli e maialini colpiti da polmonite. A questa “natura matrigna” che attacca con tanta frequenza le nostre povere bestie noi possiamo opporci solo con strumenti spuntati: rimedi naturali e medicinali omeopatici che, nella maggior parte dei casi, sono assolutamente inefficaci. Proprio ieri il nostro pollaio è stato colpito da un’epidemia di coccidiosi, una malattia abbastanza comune tra i pennuti che si cura tranquillamente con i sulfamidici. Ma noi i sulfamidici non possiamo darli e dubito che l’estratto di pompelmo salverà le nostre galline, non ci resta che disinfettare il pollaio e contare le vittime.
Insomma per farvela breve ieri sera me ne stavo andando a casa con la mia busta di cavolo-verza in mano e mi sono imbattuta in Brenda, la stagista americana arrivata da un paio di mesi per imparare i segreti della cucina toscana che tutta sorridente stava dentro al pollaio. Ora dovete sapere che Brenda ha proprio l’aspetto di una cresciuta a “pane e sulfamidici”: è alta almeno un metro e ottanta, le spalle larghe e ben formate, i denti bianchissimi e perfettamente diritti. Accanto a lei stava una delle nostre galline livornesi: quelle gallinelle bianche, piccole dalla cresta rossa….forse è stata un’allucinazione, forse è stato il caldo, ma ho avuto la netta impressione che la Gallina Livornese guardasse la Donna Sapiens Americana con l’aria decisamente incazzata. Probabilmente doveva aver intuito – l’intuizione dei polli si sa è cosa profonda e grandissima – che per avere quell’aria da donna bionica devono averti imbottito di chimica: antibiotici, vitamine, antibatterici e insomma farmaci e preparati di ogni genere….tutta quella chimica che ai nostri pennuti biologici che stramazzano al suolo stecchiti per una banale dissenteria è negata.
Ecco, dev’essere stato allora che ho deciso di andarmi ad ubriacare ed è in memoria di tutti i polli e conigli caduti a causa di mali e disturbi tanto biologici quanto letali che sto bevendo stasera. Perché in ogni aspetto dell’esperienza umana io trovo che ci voglia misura ed equilibrio e che non si debba esagerare, mai neanche per uno scopo apparentemente nobile.
Perché mi sono chiesta dove sarei adesso se da piccola non mi avessero fatto le vaccinazioni obbligatorie o se mia madre avesse preteso di curare il mio morbillo con l’estratto di radice di rabarbaro, perché tutti coloro che predicano il ritorno a un’alimentazione eco-compatibile dovrebbero anche dichiararsi disposti a sacrificare le ferie per stare in mezzo all’orto sotto il sole d’agosto o a passare le serate dietro l’acquaio per ore con l’eco-grembiule di ordinanza a preparare cavoli, broccoli e lattughe secondo le ricette della nonna.
Perché mangiare è una questione culturale e la soluzione ai problemi di una società non può essere azzerare ciò che sappiamo per tornare semplicemente, stupidamente, ciecamente al passato….ci vuole di più di un cavolo-verza e ogni tanto ci vuole senz’altro una bella Coca-Cola ghiacciata.