Da mesi la invoco, infondo vivo nella patria del vino.
Da settimane la attendo, perché le vigne che ogni giorno mi circondano sono uno dei simboli di questo territorio. Sono arrivata in inverno ed erano spoglie, in primavera hanno messo le prime foglie, in estate abbiamo visto comparire i grappoli e da qualche settimana tutti in azienda aspettiamo il comando, l’ordine, la frase fatale: “comincia la vendemmia”.
E la vendemmia iniziò. E io rimasi delusa.
Avevo immaginato la festa dell’uva, canti e chiacchiere in mezzo ai filari, ero arrivata a sognare in una torrida notte estiva, quando il termometro segnava trenta e passa gradi, di una leggera brezza settembrina tra le vigne, di un tino enorme dove affondare i piedi nel mosto come nei film…..i miei sogni svanirono il giorno che un enorme camion frigorifero ha varcato i cancelli della nostra azienda parcheggiandosi ai bordi della vigna.
Sono dolente di informare tutti i nostalgici che hanno pianto di fronte alle scene zuccherose di “ il profumo del mosto selvatico” che la vendemmia qui in Chianti è ormai spoglia di qualunque poesia: è roba per tecnici enologi, trattoristi, cantinieri.
In queste settimane il Chianti mi ha rivelato il suo “lato oscuro della forza”: trattori dai carrelli stracolmi d’uva e camion carichi di grappoli bianchi e rossi attraversano in lungo e in largo le strade tranquille, fiancheggiate dai cipressi in mezzo alle colline; vanno e vengono dalle aziende agricole alle cantine che si trovano nei centri maggiori: Gaiole, Greve in Chianti o il Valdarno.
Le cantine, tranne quelle storiche, hanno tutte lo stesso aspetto deprimente: enormi parallelepipedi di cemento, al cui interno tutta una serie di macchine e strumentazioni lavorano quintali e quintali di uva al giorno, in un ciclo del tutto simile a quello con cui alla Fiat producono le utilitarie, un ciclo che in una parola si può definire industriale.
Insomma, inutile farsi ingannare dalla bellezza delle vigne color verde e oro che si stendono all’orizzonte all’ora del tramonto: fatte le debite proporzioni stare qui è come stare in Arabia Saudita in mezzo alle raffinerie di petrolio, laggiù parlano di oro nero e qui si tratta di oro rosso o bianco….vino o petrolio le differenze sembrano poche nel vedere la “macchina produttiva” all’opera.
E nella mia azienda? Come se la cavano i paladini del biologico?
Questa volta, direi piuttosto male. È vero le nostre vigne, rispetto alle altre, sono state “trattate” pochissimo: mentre i nostri vicini spruzzavano zolfo e altre sostanze chimiche sui filari noi cercavamo di usare solo prodotti naturali. Però il nostro vino deve stare sul mercato come gli altri e anche noi, arrivati al momento della vendemmia, entriamo in quest’enorme catena di montaggio dell’uva e quindi…..e quindi refrigerazione – il camion frigorifero di cui sopra – delle uve bianche per mantenerle a temperatura ideale durante la raccolta e portarle in cantina tutte in una volta, prove di acidità, controlli sulla quantità di zucchero nel chicco d’uva, ma soprattutto raccolta selettiva: ovvero ogni raccoglitore – leggi anche i disgraziati come me – raccoglie un grappolo e seleziona i chicchi migliori scartando quelli troppo maturi o coperti di muffa…e scartare vuol dire buttare via almeno il trenta per cento del prodotto ad occhio e croce.
E poi ho rapidamente realizzato che per fare la vendemmia ci vuole un sacco di benzina: i trattori vanno avanti e indietro in mezzo alla vigna per caricare e scaricare le cassette da raccolta, i camion portano l’uva in cantina…tutta l’uva che diventerà vino viene spostata su gomma, per produrre una bottiglia di vino da un litro ce ne vogliono almeno due di benzina anche se si tratta di vino biologico. Insomma cari amici, sono costretta a confessare che la vendemmia così lungamente sognata e cominciata solo qualche giorno fa si sta trasformando in un incubo: in pratica passo ore e ore in mezzo al filare spostandomi ad una velocità prossima a quelle delle lumache e facendo sempre gli stessi identici, noiosi movimenti. In una delle numerose allucinazioni che ho avuto – verso il mezzogiorno, gradi ventisette, sole a picco - mi sono vista novella Charlie Chaplin in “ Tempi Moderni” ad una catena di montaggio che però smonta e rimonta viti e piante da frutto…come fossero parti meccaniche e componenti tecnologici...e forse infondo lo sono: se il mio capo si aggira con spettrometri e strumenti vari a misurare e controllare vuol dire che la tecnologia è entrata anche in vigna. Magari sarà un bene per la qualità del vino – io che ne so non sono un tecnico – ma io non sento il calore. Non sento l’amore. Non sento la bellezza. E non mi diverto.
E tutto questo mi fa ricordare perché ormai quasi un anno fa sono scappata dalla città, dalla civiltà, da una vita diversa, per venire qui.
Certo ci sono stati motivi razionali e ragioni pratiche, vicissitudini personali e professionali….ma se dovessi spiegarlo a un bambino di cinque anni perché sono venuta qui, io che fino a dieci mesi fa non avevo mai piantato neanche un geranio in terrazza, gli direi questo: non sentivo più il calore, l’amore, la bellezza, non mi divertivo più.
E anch’io come le piante di vite sono arrivata qui spoglia, nuda e a poco a poco ho messo le foglie, ho ripreso i miei colori….e anch’io come le piante di vite mi avvicino a maturazione tanto più che tra poco sarà anche il mio compleanno e per parafrasare il sommo poeta mi avvicino al mezzo del cammin di nostra vita…..allora la domanda è d’obbligo e vale per me come per tutti i miei coetanei che in questi tempi difficili attraversano acque perigliose:
Quand’è che la MIA pianta darà i suoi frutti?
Qual è il tempo giusto per fare la vendemmia di un anima?