Alla vostra sinistra potete ammirare una pianta di pisello selvatico che cresce spontaneo in ogni parte della fattoria in compagnia di moltissime altre varietà di erbe ed erbette.
Negli ultimi tempi sto facendo lezioni di botanica un giorno si e l’altro pure. Prima di arrivare qui le chiamavo tutte erbacce con un certo disprezzo. Ora ho imparato a riconoscere il Tarassaco, la Malva, la Veccia, la Cardogna, il Ranuncolo e il Crescione….e grazie a loro sto scoprendo l’essenza dell’agricoltura, o almeno di quella che si pratica qui e che potremmo definire “biologica/tradizionale”. Per come la vedo io il principio base di tutto è l’autarchia. Che cosa vuol dire? Vuol dire ad esempio che gli animali devono essere nutriti con quello che cresce sulla nostra terra, per quanto possibile. Niente mangimi industriali, niente prodotti preparati e impacchettati fuori da qui. Ecco perché faccio la Vispa Teresa in mezzo ai prati e raccolgo le Margherite.
Perché la cosa più sana, naturale e a buon mercato con cui puoi sfamare un pollo sono proprio le erbacce; i polli ad esempio sono ghiotti di Tarassaco. E volete sapere per cosa vanno matti i conigli? Per la Ginestra proprio la Ginestra pianta nobile e poetica che ispirò anche il Leopardi…e che per nostra fortuna cresce in grandi cespugli un po’ ovunque, ed ecco che noi raccogliamo grandi mazzi di ginestre. I maiali sono onnivori si sa, e adesso che li conosco un po’ meglio posso testimoniare che sarebbero capaci di mangiarsi anche uno dei miei scarponi in Goretex se decidono di aver fame, proprio per questo sono gli animali più “autarchici” della fattoria: a loro vanno tutti gli avanzi del ristorante, li scarti dell’orto e dei frutteti oltre alle ghiande che cadono nel bosco dove grufano soddisfatti.
Ma l’autarchia non finisce qui, l’autarchia è una filosofia profonda che sto imparando ad apprezzare ogni giorno di più e presuppone che niente ma proprio niente vada a finire nel bidone delle immondizie. La cenere dei camini e dei forni a legna finisce nel pollaio dove le galline vi si rotolano per ripulirsi dai “pollini” parassiti simili ai pidocchi che si attaccano alle piume degli uccelli. Le potature degli ulivi sono generalmente lo spuntino pomeridiano delle pecore, le potature di tutte le altre piante del giardino come rose, ibiscus, lillà non sono commestibili neanche per gli animali e quindi finiscono nei contenitori del compost che un giorno – tra un anno e anche più- verrà usato come fertilizzante per la terra. Con il letame si concimano gli orti, con lo scarto dell’aceto di vino prodotto in azienda si disinfettano i ricoveri degli animali (evitando così di usare prodotti chimici), i tubi di scarico che raccolgono l’acqua con la quale puliamo quegli stessi ricoveri finiscono nelle aiuole fiorite in modo che quell’acqua non vada sprecata. Siamo dentro un grande cerchio, niente entra, niente esce, tutto serve a qualcosa.
Siamo in un luogo dove raccolta differenziata non vuol dire riempire sei sacchetti diversi per poi gettarli in sei contenitori diversi e non sapere che fine faranno. Qui riciclare è un verbo che ha un senso, qui ripulire il giardino dalle erbacce è un’azione che ha a che fare con la frittata di uova fresche che mi cucinerò stasera. Non è facile raggiungere l’autosufficienza completa e per tantissime cose non ci sono ancora riusciti neanche qui. Eppure possiamo dire che una fattoria come questa è un sistema autarchico a tutti gli effetti anche se non proprio tutto può essere riutilizzato o prodotto in loco. L’autarchia è l’idea di base che regge questo sistema.
Prima di arrivare qui “autarchia” era una triste e ridicola politica del regime fascista che nella mia mente evocava immagini in bianco e nero di donne che sfilano davanti all’altare della patria per depositare in grandi crateri le loro fedi nuziali sotto lo sguardo triste e un po’ lontano della Regina Elena.
Io sono nata molto, molto tempo dopo. E a parte “ Io sono un autarchico” di Nanni Moretti la mia generazione non ha avuto spesso a che fare con il concetto di risparmio e di riutilizzo. Noi siamo stati educati a sprecare.
E china in un prato a raccogliere erbacce ho fatto l’elenco delle cose che ho sprecato. Non beni materiali, ne prodotti alimentari per quelli si fa sempre in tempo a imparare a riciclare.
Ma cose ben più importanti e peculiari come ad esempio: il tempo.
Chi lavora a diretto contatto con la natura non PUO’ sprecare tempo. Il tempo è scandito dalla luce del giorno e dalle stagioni. Bisogna affrettarsi e lavorare prima che faccia buio. Bisogna affrettarsi e lavorare prima che faccia freddo o caldo a seconda se è estate o inverno.
Ma quando la luce elettrica ti risolve i problemi di buio e per quelli climatici ci sono condizionatore e riscaldamento, quando la tecnologia ti rende semplice praticamente qualunque come decide di impiegare il suo tempo l’Homo Sapiens??
Si siede in poltrona e guarda la tv. La fretta gli passa, l’ansia di utilizzare al meglio tutte le risorse a sua disposizione pure. Dove non c’è necessità sparisce anche la virtù.
Con la mia pianticella di Tarassaco in mano ho anche pensato a ciò che vedo sprecare più frequentemente in giro che poi è anche la cosa che, a mio parere, bisognerebbe trovare il modo di riciclare: il talento.
E voi che mi dite? Che cosa avete sprecato nella vita? Che cosa vorreste poter riciclare?
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RispondiEliminaciao ciao
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