Se per caso domani vi trovaste..non lo so, dieci o quindici milioni di euro in più che cosa ne fareste, cari i miei venticinque lettori di manzoniana memoria?
Sono sicura che stenterei a trovare tra di voi qualcuno che con quindici milioni di euro si comprerebbe, tra le altre cose, una scrofa di razza “Cinta Senese”.
L’azienda agricola per la quale sto lavorando si trova nel cuore del Chianti: settanta ettari di vigneti, oliveti e una fattoria con orti biologici e animali allevati - per quanto possibile - con i prodotti dell’azienda, un agriturismo con camere e ristorante di alto livello, tutto frutto dell’impegno economico e umano di due stranieri con la passione per la Toscana.
Ogni mattina quando parcheggio la macchina e mi incammino per il viale inghiaiato verso l’ingresso della fattoria resto ferma per un secondo ad ammirare il panorama circostante: colline, vigne, boschi di querce, un cielo purissimo che in città te lo sogni, castelli e piccoli borghi medievali in lontananza. Un giapponese che pensa “Toscana” visualizza nella sua mente il paesaggio che io ammiro quotidianamente. Se non fai mente locale rischi di dimenticarti che questo è l’anno domini 2011 e ti aspetti che spunti da dietro un albero il contadino di “Non ci resta che piangere” ve lo ricordate? “Dove siamo? Siamo a Frittole nel 1492…quasi 1500”.
Questa è la mia regione, ci sono nata, posso vantare avi autoctoni da almeno tre generazioni e nonni e bisnonni agricoltori…eppure non avevo mai visto una Toscana bella, pulita, ordinata e armoniosa come questa. Oggi un collega mi ha mostrato alcune foto risalenti a molti anni fa, a prima che i miei datori di lavoro decidessero di comprare, tra le altre cose, la scrofa razza “Cinta Senese” e volete sapere cosa c’era dove ora ci sono i vigneti, gli oliveti, i muretti in pietra locale, gli orti, gli animali, i boschi curati e puliti? Niente, non c’era un bel niente.
I boschi si erano ingoiati i vigneti, i terrazzamenti in pietra erano franati giù, persino la strada sterrata che porta quassù stava scomparendo nel fitto della macchia.
Questo luogo, coltivato sin dal tardo medioevo, rischiava di scomparire e con lui la bellezza del paesaggio circostante.
Fino a che due stranieri, due persone che non sono nate qui bensì dall’altra parte dell’Atlantico, hanno deciso di investire i loro soldi per far diventare questo posto simile al sogno che nella loro mente – e nella mente di milioni di altri probabilmente – è IL paradiso bucolico, un luogo simbolo della cultura e tradizione italiana.
E sono in buona compagnia: in tutta la zona ci sono ville e poderi di proprietari non italiani, la maggior parte dei turisti che vengono in visita qui sono americani, oggi ho visto uno di loro fotografare la scrofa razza “Cinta Senese” con la stessa espressione ammirata e riverente di quei suoi compatrioti che fotografano la Torre di Pisa a due passi da casa mia.
A me è venuto da ridere, lui era serissimo. E allora mi sono chiesta perché per questa gente un maiale è importante quanto un monumento. Forse non ci sono maiali negli Stati Uniti o in Canada o in Giappone? Forse non ci sono boschi e bei paesaggi anche lì?
Probabilmente si, probabilmente per loro il Chianti è un luogo esotico come per noi le Hawaii, probabilmente tutti tendono ad ammirare e apprezzare solo ciò che è distante, lontano, ALTRO da loro. E io l’ho pensato subito, appena arrivata che questo posto non era gestito da italiani. Lo so, lo so, ci devono essere decine e decine di aziende agricole e fattorie biologiche gestite da italiani in gamba, e del resto anche qui la maggior parte di noi dipendenti è del luogo.
Ma lo stesso, lo stile di questo posto non mi sembrava compatibile con alcune nostre caratteristiche peculiari.
Prima che avesse inizio la stagione turistica M. ha parlato a tutti noi per spiegarci la “filosofia” con la quale questo posto è stato progettato. Parlava con un post-it verde stretto in mano, dove evidentemente si era appuntato i passi salienti del suo discorso. Parlava di curare i dettagli e di considerare il nostro lavoro un’opportunità, diceva che il colpo d’occhio su ettari e ettari di vigneti doveva dare la stessa sensazione di ordine e naturalezza del cespuglio di rose che sta di fianco all’ingresso. Insomma, parlava come uno che considera la terra che ha comprato un vero patrimonio culturale e naturale. E noi? Io e i miei colleghi “tosco/italiani” lo ascoltavamo con cortesia e distacco senza riuscire a capire cosa ci fosse di tanto straordinario in un cespuglio di rose o nello scorcio di una vigna in primavera. Noi non facciamo le foto alle scrofe.
Se fosse per noi contempleremmo con occhio distaccato i terrazzamenti delle viti franare giù e le piante selvatiche invadere gli orti senza battere ciglio…se fosse per noi i muretti a secco non sarebbero tutti così precisi e ordinati e il pollaio non sarebbe così pulito…perché certo, il posto è bellissimo e bisogna curarlo ma se non hai il tempo di sederti e godertelo cosa lo curi a fare?
Attenzione quelli che lavorano qui sono tutti ragazzi in gamba che sanno fare il loro mestiere, che si impegnano e sudano e che con ogni probabilità rispetteranno con coscienza e senso di responsabilità la “direttiva aziendale”. Ma a casa loro farebbero diversamente, ne sono certa almeno dieci volte al giorno quando li guardo osservare con occhio critico questo o quell’aspetto del nostro lavoro. E mi fanno venire in mente il Gattopardo e la battuta del Principe di Salina davanti ai soldati inglesi che domandano cosa fossero venuti a fare questi piemontesi in Sicilia nei giorni dello sbarco dei Mille. “Vengono per insegnarci le buone maniere” risponde il Principe “ma non potranno farlo perché noi siamo Dei”.
Una cosa è certa in Sicilia come in Toscana: se è vero che gli Dei abitano in paradiso allora noi siamo Dei. Perché questo luogo, e l'Italia tutta forse, è un pezzo di paradiso e gli stranieri che vengono qui se ne sono accorti da molto ma molto tempo.
Mentre noi Dei, persi nella contemplazione estatica della nostra propria deitudine, arroganti, presuntuosi, provinciali e stupidi, abbiamo detto ai nostri figli di fare di tutto: il designer o il programmatore di software ma non certo il contadino come tuo nonno, mamma mia che vergogna!
E qualcun altro è venuto e si è comprato le vigne in rovina, gli olivi circondati dalle erbacce i ruderi cadenti di case antiche e…..le scrofe di Cinta Senese ovviamente.
E quando sarete Dei senza Paradiso Terreste – sembra chiedermi la nostra scrofa che mi guarda mentre allatta la sua prole – che cosa farete eh? Busserete alla porta di quelli che vi hanno sfrattato da casa vostra per chiedere un po’ di quella bellezza che avevate avuto in regalo come elemosina?
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