martedì 17 maggio 2011

La popolazione locale

Questa è la storia del Mitraglia.
Per motivi di riservatezza abbiamo modificato il suo soprannome – grazie al quale è notissimo a tutti gli abitanti del suo chiantigiano borgo natio - ma vi assicuriamo che “Mitraglia” conserva intatto il senso di quel soprannome: quello di descrivere la sua voce roboante, scoppiettante, che parla a raffica producendo un incessante fiume di parole.
Il Mitraglia parla mentre lavora, mentre mangia, mentre si riposa. Il Mitraglia parla a voce alta e spesso, quando qualcosa non va, bestemmia. Ma il suo bestemmiare, come il suo incontenibile eloquio del resto, ha qualcosa di gioioso, di provocatorio e scanzonato: le bestemmie del Mitraglia sono piene di inventiva e di ironia e raffigurano la Madre di Gesù insieme a tutti i Santi del paradiso in atteggiamenti ridicoli più che blasfemi; insomma la bestemmia è una delle tante prove di inventiva e abilità nelle quali si cimenta. Del resto bestemmiare in Toscana per gli uomini di una certa età e condizione è qualcosa che non ha minimamente a che fare con la religione, piuttosto è un esercizio verbale, un divertimento linguistico come gli stornelli romani e un segno sicuro di virilità e prestigio.
Ma tornando al Mitraglia lui parla di se in terza persona, inizia molte frasi così:“Il povero Mitraglia”. E d’ora in avanti anche noi lo chiameremo in questo modo, come lui stesso ama definirsi.
È difficile stabilire con precisione quale sia la professione del Povero Mitraglia. Lui stesso dichiara di essere stato assunto in Comune tramite regolare concorso molti anni fa, ma ormai il suo impiego al Comune è solo part-time, il Povero Mitraglia ha da fare altre mille e mille cose e non può dedicarsi a servire come impiegato comunale i suoi concittadini a tempo pieno. Il Mitraglia si intende di idraulica, di edilizia e sa guidare praticamente qualunque mezzo a quattro ruote o cingolato: dal trattore all’escavatore, passando per la pala meccanica e la ruspa.
Il povero Mitraglia, è quasi superfluo dirlo, ha origini contadine e una gran passione per la caccia al cinghiale. La sua famiglia, in particolare uno zio pare anche lui grande bestemmiatore, non gli ha lasciato che pochi olivi ai piedi di una collina di proprietà della curia e il Povero Mitraglia da ragazzo non ci badava più di tanto a quegli olivi:<< ero un cavallo pazzo>> dice di se e di quel tempo. Il termine tecnico credo sia “scapestrato” perché il povero Mitraglia è un istintivo e prima del concorso comunale non si curava granché di lavorare; di studiare poi neanche a parlarne: come fa il Mitraglia a stare fermo in un banco cinque, sei addirittura sette ore? Follia!
Il Mitraglia si deve muovere, andare in giro, offrire il caffè agli amici del bar, informarsi sulla salute e la situazione sentimentale e patrimoniale di ogni suo lontano conoscente….sono impegni a tempo pieno anche questi!
Per dovere di cronaca siamo costretti a precisare che le notizie a noi pervenute sulla biografia del Povero Mitraglia sono frammentate e lacunose, per cui ignoriamo che cosa sia accaduto tra la fine della scuola dell’obbligo e il famoso concorso in Comune. Sospettiamo comunque che qualcuno -forse un padre o un fratello - l’abbia preso sonoramente a calci in culo e l’abbia mandato a lavorare cosa che ha dato i suoi frutti: il Povero Mitraglia è un gran lavoratore e anche un buon coordinatore quando deve far lavorare gli altri.
Comunque sia, gli anni passano e il Mitraglia vince il concorsone, mette su famiglia e improvvisamente si ricorda di quei venti o trenta olivi dello zio.
Sopra quegli olivi, proprio sulla sommità della collina, c’è un vecchio fienile, cadente, abbandonato. Il Mitraglia va sul posto, bestemmiando bestemmiando passa in rassegna tutti i lavori che andrebbero fatti: aprire una strada sterrata, disboscare, ristrutturare il fienile cadente, sistemare i fiori e le piante…e d’improvviso mentre si aggirava inquieto in mezzo ai rovi e alle erbacce la vede: proprio dietro alla casa, ormai nascosta dalla vegetazione c’è una grande quercia dal fusto contorto e deformato. Al Mitraglia sembra che quella quercia gli dica:<< potami, curami, toglimi di torno tutte queste erbacce, io sono una quercia, una pianta fiera, maestosa ti pare giusto che me ne stia quassù dimenticata e abbandonata?>>
Il Povero Mitraglia comincia a chiedere, informarsi, brigare. Chiede agli amici al bar, chiede in Comune: la Chiesa non sa che farsene di quella collina, una società che acquista terreni in Chianti per costruire case vacanze per stranieri c’ha messo gli occhi sopra e se non si sbriga…..Il Povero Mitraglia comincia un’estenuante lavoro di imbonimento dei suoi vicini d’oliveto: due vecchietti che hanno in usufrutto una parte della proprietà e non ci vengono mai, ormai da anni vivono dai figli a Firenze.
Il Mitraglia cura i loro olivi, porta cassettate d’olio novo alla vecchia signora di Firenze, tanto bigotta, tanto vicina alla Curia del posto e che può mettere una buona parola per l’acquisto della terra, nel frattempo il Povero Mitraglia fa progetti, scrive lettere per farsi raccomandare ai preti e comincia zitto zitto a disboscare, a pulire, a sistemare lo sterrato della strada a potare la sua quercia.
Alla fine sarà lui contro la società straniera a giocarsi l’acquisto di quella collina: lui, il Povero Mitraglia appunto, che non c’ha una lira e per comprare deve indebitarsi fin sopra ai capelli, lui che bestemmia dall’età di sette anni e che non entra in Chiesa più o meno dalla stessa epoca…..alla fine la spunta e conclude l’affare. E quando ancora incredulo, seduto davanti ai Monsignori, sta per compilare l’assegno i buoni padri gli allungano un sorriso benevolo e fanno segno di “no” con i loro indici benedicenti: l’assegno va bene per una parte dell’importo, il resto della somma? In contanti figliolo, AL NERO, Santa Madre Chiesa è povera e non può permettersi di pagare altre tasse…… ancora oggi il Mitraglia racconta di essere uscito da quell’incontro più bestemmiatore e miscredente di quando era entrato.
Nei successivi due anni il Povero Mitraglia diventa ancor più povero perché carico di debiti e di lavoro estenuante: il suo progetto è quello di fare un piccolo agriturismo con un paio di appartamenti per gli ospiti e la piscina ma siccome non ha i mezzi degli stranieri che saranno suoi ospiti e dei tanti che arrivano in Chianti per fare speculazioni immobiliari farà da solo la maggior parte del lavoro, lui e qualche amico, qualche ragazzo albanese preso a giornata, qualche disgraziato raggirato dalle infinite chiacchiere del Povero Mitraglia, qualcuno che insieme a lui lavora anche quindici ore al giorno per demolire e murare, per piantare e spianare, per rifare il tetto e i pavimenti.
Comincia a mettersi male per il Povero Mitraglia, gli piovono addosso vincoli paesaggistici e ambientali, carte e divieti di cui non capisce niente, il cugino architetto ( uno come il Mitraglia ha un cugino per ogni disgrazia della vita: dal mal di denti alla dichiarazione dei redditi) gli dice che i lavori costeranno più del previsto, la moglie e i suoceri lo ossessionano con le loro paure e le loro ansie, la banca aumenta i tassi d’interesse….lui infondo se ne frega.
Sta dodici ore sull’escavatore e la mattina si sveglia alle quattro per andare a caccia. Ogni tanto, quando è stanco guarda la sua quercia che si erge  maestosa in mezzo al prato finalmente curato.
Oggi, dopo anni di lavoro, Il Povero Mitraglia non è più tanto povero: gli americani vengono a fare il bagno nella sua piscina per godersi il panorama che, nelle giornate limpide, permette di ammirare anche Siena e pagano bene; anche se rimane il mutuo da pagare qualcosa in tasca il Mitraglia se lo mette……i permessi? Qualcuno è riuscito a ottenerlo, ma la maggior parte….si è SCORDATO di chiederli ecco tutto e finché qualcuno non viene a metterci il naso……..
I divieti? Ma i divieti sono fatti per essere infranti no? E lui ha tanti amici, ha parlato con questo, ha parlato con quello, ha sistemato tutto….o l’ha nascosto sotto un tappeto. 
Recentemente abbiamo avuto il piacere di visitare il suo agriturismo: il posto è bellissimo. Il fienile è stato ristrutturato in pietra locale, il panorama è mozzafiato, dispiace che l’interno sia stato sistemato….come dire….in “stile Mitraglia”. Perché uno come lui ha un cuore formidabile e due mani abilissime…ma manca di buon gusto, diciamolo pure. Il suo piccolo resort non regge il paragone con le tante vecchie case toscane splendidamente ristrutturate dei dintorni da gente che certamente nessuno chiama affettuosamente “Mitraglia”.
Noi abbiamo evitato di dirgli che i suoi mobili arte povera, i suoi letti in ferro battuto ci sembravano bruttini rispetto al resto della proprietà ma scommettiamo che avrebbe scrollato le spalle. Il Mitraglia non si offende di non essere un “signore” è contento di quello che è, dopotutto, nient’altro che un contadino scarpe grosse e cervello fino.
Ti racconta tutta la sua storia da cima a fondo come fosse l’Odissea e conclude con una frase da manuale:<< perché ho fatto tutto questo?>> Recita ironico dosando a dovere dramma e commedia:<< perché nella vita bisogna lasciare un segno>>.
E qui ci permettiamo di dissentire. Perché noi crediamo che a quelli come il Mitraglia dei segni, dei soldi, dello stile raffinato, persino della nobile e splendida quercia che troneggia in mezzo al suo giardino non gliene freghi niente di niente.
Il vero motivo per cui si è indebitato fino al collo, ha litigato con moglie e parenti, ha lavorato giorno e notte come un cane….è che si annoiava. Otto ore in Comune a lavorare e la sera davanti alla tv con la famiglia? Non era vita per il Povero Mitraglia, questa. Vuoi mettere scavare da solo le sue strade, tirare giù una casa e costruirla da capo, smontare e rimontare impianti elettrici e idraulici?
Il Povero Mitraglia è come un bambino: gli escavatori pesanti un paio di tonnellate sono le sue macchinine. È come un ragazzo ma ha la testa di un uomo perché il rischio di finire in bancarotta o in galera se l’è preso davvero. E alla fine ha fatto risorgere un luogo dimenticato che rimarrà nelle mani di un Chiantigiano Doc invece di essere uno dei tanti investimenti fondiari di qualche ricco anglosassone.
Eccola qui la storia del Mitraglia e ci scusiamo con i nostri lettori se ci siamo inutilmente dilungati su particolari secondari o se la descrizione del personaggio vi sembra agiografica più che biografica.
Ma, dobbiamo confessarlo, per il povero Mitraglia abbiamo un debole.
Ci ricorda altri uomini, altri luoghi non troppo lontani ne troppo dissimili e ci piace ridere alle sue battute, e ascoltare le sue storie anche se ogni volta che parla con noi abbiamo la certezza che ci sta prendendo per i fondelli…. Malgrado o forse in virtù dei suoi numerosi difetti ci sembra l’uomo perfetto per incarnare lo spirito autentico di queste terre di Toscana.

mercoledì 11 maggio 2011

non buttate via le erbacce


Alla vostra sinistra potete ammirare una pianta di pisello selvatico che cresce spontaneo in ogni parte della fattoria in compagnia di moltissime altre varietà di erbe ed erbette.
Negli ultimi tempi sto facendo lezioni di botanica un giorno si e l’altro pure. Prima di arrivare qui le chiamavo tutte erbacce con un certo disprezzo. Ora ho imparato a riconoscere il Tarassaco, la Malva, la Veccia, la Cardogna, il Ranuncolo e il Crescione….e grazie a loro sto scoprendo l’essenza dell’agricoltura, o almeno di quella che si pratica qui e che potremmo definire “biologica/tradizionale”. Per come la vedo io il principio base di tutto è l’autarchia. Che cosa vuol dire? Vuol dire ad esempio che gli animali devono essere nutriti con quello che cresce sulla nostra terra, per quanto possibile. Niente mangimi industriali, niente prodotti preparati e impacchettati fuori da qui. Ecco perché faccio la Vispa Teresa in mezzo ai prati e raccolgo le Margherite.
Perché la cosa più sana, naturale e a buon mercato con cui puoi sfamare un pollo sono proprio le erbacce; i polli ad esempio sono ghiotti di Tarassaco. E volete sapere per cosa vanno matti i conigli? Per la Ginestra proprio la Ginestra pianta nobile e poetica che ispirò anche il Leopardi…e che per nostra fortuna cresce in grandi cespugli un po’ ovunque, ed ecco che noi raccogliamo grandi mazzi di ginestre. I maiali sono onnivori si sa, e adesso che li conosco un po’ meglio posso testimoniare che sarebbero capaci di mangiarsi anche uno dei miei scarponi in Goretex se decidono di aver fame, proprio per questo sono gli animali più “autarchici” della fattoria: a loro vanno tutti gli avanzi del ristorante, li scarti dell’orto e dei frutteti oltre alle ghiande che cadono nel bosco dove grufano soddisfatti.
Ma l’autarchia non finisce qui, l’autarchia è una filosofia profonda che sto imparando ad apprezzare ogni giorno di più e presuppone che niente ma proprio niente vada a finire nel bidone delle immondizie. La cenere dei camini e dei forni a legna finisce nel pollaio dove le galline vi si rotolano per ripulirsi dai “pollini” parassiti simili ai pidocchi che si attaccano alle piume degli uccelli. Le potature degli ulivi sono generalmente lo spuntino pomeridiano delle pecore, le potature di tutte le altre piante del giardino come rose, ibiscus, lillà non sono commestibili neanche per gli animali e quindi finiscono nei contenitori del compost che un giorno – tra un anno e anche più- verrà usato come fertilizzante per la terra. Con il letame si concimano gli orti, con lo scarto dell’aceto di vino prodotto in azienda si disinfettano i ricoveri degli animali (evitando così di usare prodotti chimici), i tubi di scarico che raccolgono l’acqua con la quale puliamo quegli stessi ricoveri finiscono nelle aiuole fiorite in modo che quell’acqua non vada sprecata. Siamo dentro un grande cerchio, niente entra, niente esce, tutto serve a qualcosa.
Siamo in un luogo dove raccolta differenziata non vuol dire riempire sei sacchetti diversi per poi gettarli in sei contenitori diversi e non sapere che fine faranno. Qui riciclare è un verbo che ha un senso, qui ripulire il giardino dalle erbacce è un’azione che ha a che fare con la frittata di uova fresche che mi cucinerò stasera. Non è facile raggiungere l’autosufficienza completa e per tantissime cose non ci sono ancora riusciti neanche qui. Eppure possiamo dire che una fattoria come questa è un sistema autarchico a tutti gli effetti anche se non proprio tutto può essere riutilizzato o prodotto in loco. L’autarchia è l’idea di base che regge questo sistema.
Prima di arrivare qui “autarchia” era una triste e ridicola politica del regime fascista che nella mia mente evocava immagini in bianco e nero di donne che sfilano davanti all’altare della patria per depositare in grandi crateri le loro fedi nuziali sotto lo sguardo triste e un po’ lontano della Regina Elena.
Io sono nata molto, molto tempo dopo. E a parte “ Io sono un autarchico” di Nanni Moretti la mia generazione non ha avuto spesso a che fare con il concetto di risparmio e di riutilizzo. Noi siamo stati educati a sprecare.
E china in un prato a raccogliere erbacce ho fatto l’elenco delle cose che ho sprecato. Non beni materiali, ne prodotti alimentari per quelli si fa sempre in tempo a imparare a riciclare.
Ma cose ben più importanti e peculiari come ad esempio: il tempo.
Chi lavora a diretto contatto con la natura non PUO’ sprecare tempo. Il tempo è scandito dalla luce del giorno e dalle stagioni. Bisogna affrettarsi e lavorare prima che faccia buio. Bisogna affrettarsi e lavorare prima che faccia freddo o caldo a seconda se è estate o inverno.
Ma quando la luce elettrica ti risolve i problemi di buio e per quelli climatici ci sono condizionatore e riscaldamento, quando la tecnologia ti rende semplice praticamente qualunque come decide di impiegare il suo tempo l’Homo Sapiens??
Si siede in poltrona e guarda la tv. La fretta gli passa, l’ansia di utilizzare al meglio tutte le risorse a sua disposizione pure. Dove non c’è necessità sparisce anche la virtù.
Con la mia pianticella di Tarassaco in mano ho anche pensato a ciò che vedo sprecare più frequentemente in giro che poi è anche la cosa che, a mio parere, bisognerebbe trovare il modo di riciclare: il talento.
E voi che mi dite? Che cosa avete sprecato nella vita? Che cosa vorreste poter riciclare?

giovedì 5 maggio 2011

Scrofe divine


Se per caso domani vi trovaste..non lo so, dieci o quindici milioni di euro in più che cosa ne fareste, cari i miei venticinque lettori di manzoniana memoria?
Sono sicura che stenterei a trovare tra di voi qualcuno che con quindici milioni di euro si comprerebbe, tra le altre cose, una scrofa di razza “Cinta Senese”.
L’azienda agricola per la quale sto lavorando si trova nel cuore del Chianti: settanta ettari di vigneti, oliveti e una fattoria con orti biologici e animali allevati - per quanto possibile - con i prodotti dell’azienda, un agriturismo con camere e ristorante di alto livello, tutto frutto dell’impegno economico e umano di due stranieri con la passione per la Toscana.
Ogni mattina quando parcheggio la macchina e mi incammino per il viale inghiaiato verso l’ingresso della fattoria resto ferma per un secondo ad ammirare il panorama circostante: colline, vigne, boschi di querce, un cielo purissimo che in città te lo sogni, castelli e piccoli borghi medievali in lontananza. Un giapponese che pensa “Toscana” visualizza nella sua mente il paesaggio che io ammiro quotidianamente. Se non fai mente locale rischi di dimenticarti che questo è l’anno domini 2011 e ti aspetti che spunti da dietro un albero il contadino di “Non ci resta che piangere” ve lo ricordate? “Dove siamo? Siamo a Frittole nel 1492…quasi 1500”.
Questa è la mia regione, ci sono nata, posso vantare avi autoctoni da almeno tre generazioni e nonni e bisnonni agricoltori…eppure non avevo mai visto una Toscana bella, pulita, ordinata e armoniosa come questa. Oggi un collega mi ha mostrato alcune foto risalenti a molti anni fa, a prima che i miei datori di lavoro decidessero di comprare, tra le altre cose, la scrofa razza “Cinta Senese” e volete sapere cosa c’era dove ora ci sono i vigneti, gli oliveti, i muretti in pietra locale, gli orti, gli animali, i boschi curati e puliti? Niente, non c’era un bel niente.
I boschi si erano ingoiati i vigneti, i terrazzamenti in pietra erano franati giù, persino la strada sterrata che porta quassù stava scomparendo nel fitto della macchia.
Questo luogo, coltivato sin dal tardo medioevo, rischiava di scomparire e con lui la bellezza del paesaggio circostante.
Fino a che due stranieri, due persone che non sono nate qui bensì dall’altra parte dell’Atlantico, hanno deciso di investire i loro soldi per far diventare questo posto simile al sogno che nella loro mente – e nella mente di milioni di altri probabilmente – è IL paradiso bucolico, un luogo simbolo della cultura e tradizione italiana.
E sono in buona compagnia: in tutta la zona ci sono ville e poderi di proprietari non italiani, la maggior parte dei turisti che vengono in visita qui sono americani, oggi ho visto uno di loro fotografare la scrofa razza “Cinta Senese” con la stessa espressione ammirata e riverente di quei suoi compatrioti che fotografano la Torre di Pisa a due passi da casa mia.
A me è venuto da ridere, lui era serissimo. E allora mi sono chiesta perché per questa gente un maiale è importante quanto un monumento. Forse non ci sono maiali negli Stati Uniti o in Canada o in Giappone? Forse non ci sono boschi e bei paesaggi anche lì?
Probabilmente si, probabilmente per loro il Chianti è un luogo esotico come per noi le Hawaii, probabilmente tutti tendono ad ammirare e apprezzare solo ciò che è distante, lontano, ALTRO da loro. E io l’ho pensato subito, appena arrivata che questo posto non era gestito da italiani. Lo so, lo so, ci devono essere decine e decine di aziende agricole e fattorie biologiche gestite da italiani in gamba, e del resto anche qui la maggior parte di noi dipendenti è del luogo.
Ma lo stesso, lo stile di questo posto non mi sembrava compatibile con alcune nostre caratteristiche peculiari.
Prima che avesse inizio la stagione turistica M. ha parlato a tutti noi per spiegarci la “filosofia” con la quale questo posto è stato progettato. Parlava con un post-it verde stretto in mano, dove evidentemente si era appuntato i passi salienti del suo discorso. Parlava di curare i dettagli e di considerare il nostro lavoro un’opportunità, diceva che il colpo d’occhio su ettari e ettari di vigneti doveva dare la stessa sensazione di ordine e naturalezza del cespuglio di rose che sta di fianco all’ingresso. Insomma, parlava come uno che considera la terra che ha comprato un vero patrimonio culturale e naturale. E noi? Io e i miei colleghi “tosco/italiani” lo ascoltavamo con cortesia e distacco senza riuscire a capire cosa ci fosse di tanto straordinario in un cespuglio di rose o nello scorcio di una vigna in primavera. Noi non facciamo le foto alle scrofe.
Se fosse per noi contempleremmo con occhio distaccato i terrazzamenti delle viti franare giù e le piante selvatiche invadere gli orti senza battere ciglio…se fosse per noi i muretti a secco non sarebbero tutti così precisi e ordinati e il pollaio non sarebbe così pulito…perché certo, il posto è bellissimo e bisogna curarlo ma se non hai il tempo di sederti e godertelo cosa lo curi a fare?
Attenzione quelli che lavorano qui sono tutti ragazzi in gamba che sanno fare il loro mestiere, che si impegnano e sudano e che con ogni probabilità rispetteranno con coscienza e senso di responsabilità la “direttiva aziendale”. Ma a casa loro farebbero diversamente, ne sono certa almeno dieci volte al giorno quando li guardo osservare con occhio critico questo o quell’aspetto del nostro lavoro. E mi fanno venire in mente il Gattopardo e la battuta del Principe di Salina davanti ai soldati inglesi che domandano cosa fossero venuti a fare questi piemontesi in Sicilia nei giorni dello sbarco dei Mille. “Vengono per insegnarci le buone maniere” risponde il Principe “ma non potranno farlo perché noi siamo Dei”.
Una cosa è certa in Sicilia come in Toscana: se è vero che gli Dei abitano in paradiso allora noi siamo Dei. Perché questo luogo, e l'Italia tutta forse, è un pezzo di paradiso e gli stranieri che vengono qui se ne sono accorti da molto ma molto tempo.
Mentre noi Dei, persi nella contemplazione estatica della nostra propria deitudine, arroganti, presuntuosi, provinciali e stupidi, abbiamo detto ai nostri figli di fare di tutto: il designer o il programmatore di software ma non certo il contadino come tuo nonno, mamma mia che vergogna!
E qualcun altro è venuto e si è comprato le vigne in rovina, gli olivi circondati dalle erbacce i ruderi cadenti di case antiche e…..le scrofe di Cinta Senese ovviamente.
E quando sarete Dei senza Paradiso Terreste – sembra chiedermi la nostra scrofa che mi guarda mentre allatta la sua prole – che cosa farete eh? Busserete alla porta di quelli che vi hanno sfrattato da casa vostra per chiedere un po’ di quella bellezza che avevate avuto in regalo come elemosina?