venerdì 19 agosto 2011

Il rovescio della medaglia

Si, lo confesso, sono colpevole: ho bevuto una Coca-Cola. Ho fatto di peggio in realtà ho comprato l’insalata in busta del supermarket e ho buttato nella spazzatura il cavolo-verza biologico che veniva dai nostri orti. Lo so, sono un mostro, faccio schifo, mi vergogno di me stessa.

La Madre Terra mi punirà perché mangio il prosciutto già affettato nella vaschetta di plastica io che respiro ogni giorno aria pulita, io che contemplo ogni sera gli ettari di vigneti coltivati senza pesticidi, io che allevo animali allo stato semi brado nei boschi del Chianti.
 Va bene, allora diciamola tutta ok? Stasera mi sono bevuta una birra di troppo. È  per questo parlo e straparlo, o meglio scrivo e strascrivo. Sono serate come queste che hanno condotto al Watergate e all’Irangate….sono quelle sere in cui coloro che dovrebbero mantenere i segreti perdono il controllo.
E allora perdiamo il controllo e distruggiamo il paradiso. Da dove volete che inizi?
Inizierò col dire che persino qui dove il cielo è più blu e siamo tutti eco-politicamente corretti c’è il rovescio della medaglia; e il rovescio della medaglia che mi ha condotto dritta al banco delle bevande gassate è il cavolo-verza. Sul cavolo-verza voglio essere chiara: mi fa schifo. Mi hanno sempre fatto schifo sin dalla più tenera infanzia la zuppa di cavolo, la minestra di cavolo, il cavolo lesso e anche quello fritto. Ogni mattina S. la cuoca del nostro ristorante esce dalla cucina, discende alcuni scalini in pietra locale, entra nei riquadri dell’orto e inizia la raccolta delle verdure che gli serviranno per preparare i piatti del menù, in questa stagione l’orto è sovraccarico di primizie e S. ci regala generosamente tutto quello che abbonda, la roba è così tanta che spesso fare la spesa sarebbe inutile se non fosse….se non fosse che a seguire la natura non si può scegliere, si prende quello che c’è e questo è il mese del cavolo-verza. E poi c’è un altro problema serio da risolvere per una che lavora tutto il giorno e la sera torna a casa stanca morta: il cavolo-verza e tutti i suoi amici e colleghi dell’orto hanno bisogno di essere puliti, lavati, cucinati operazioni che, alla fine di una giornata, finiscono per consumare il poco tempo libero che mi rimane e che serve, ad esempio, a scrivere questo post.
E poi volete saperlo? Il cavolo-verza non ha un bell’aspetto come non ce l’hanno le carote o la rucola…il sapore si, il sapore è grandioso e addentare una carota qui da noi è un’esperienza mistica che ti fa chiedere: ma se QUESTA è LA CAROTA cos’è quella cosa arancione avvolta nel cellophan che ho mangiato fino a ieri? Ma all’aspetto la carota si presenta piuttosto piccola e spesso bucherellata e bitorzoluta. Dal momento che le nostre piante non vengono irrorate con gli antiparassitari ci sono tanti animaletti che  se le mangiucchiano e noi, di fatto, ci mangiamo quello che loro hanno lasciato. Se fossero solo i bitorzoli delle carote potrei anche chiudere un occhio, ma il vero problema del biologico è l’allevamento degli animali senza l’impiego di farmaci o preparati chimici. Da quando sono qui le nascite degli animali sono un evento raro e occasionale, le morti purtroppo sono molto più frequenti: abbiamo avuto pestilenze che hanno decimato i conigli, mali misteriosi che hanno ucciso i pulcini appena nati, pidocchi e acari che hanno attaccato i polli e maialini colpiti da polmonite. A questa “natura matrigna” che attacca con tanta frequenza le nostre povere bestie noi possiamo opporci solo con strumenti spuntati: rimedi naturali e medicinali omeopatici che, nella maggior parte dei casi, sono assolutamente inefficaci. Proprio ieri il nostro pollaio è stato colpito da un’epidemia di coccidiosi, una malattia abbastanza comune tra i pennuti che si cura tranquillamente con i sulfamidici. Ma noi i sulfamidici non possiamo darli e dubito che l’estratto di pompelmo salverà le nostre galline, non ci resta che disinfettare il pollaio e contare le vittime.
Insomma per farvela breve ieri sera me ne stavo andando a casa con la mia busta di cavolo-verza in mano e mi sono imbattuta in Brenda, la stagista americana arrivata da un paio di mesi per imparare i segreti della cucina toscana che tutta sorridente stava dentro al pollaio. Ora dovete sapere che Brenda ha proprio l’aspetto di una cresciuta a “pane e sulfamidici”: è alta almeno un metro e ottanta, le spalle larghe e ben formate, i denti bianchissimi e perfettamente diritti. Accanto a lei stava una delle nostre galline livornesi: quelle gallinelle bianche, piccole dalla cresta rossa….forse è stata un’allucinazione, forse è stato il caldo, ma ho avuto la netta impressione che la Gallina Livornese guardasse la Donna Sapiens Americana con l’aria decisamente incazzata. Probabilmente doveva aver intuito – l’intuizione dei polli si sa è cosa profonda e grandissima – che per avere quell’aria da donna bionica devono averti imbottito di chimica: antibiotici, vitamine, antibatterici e insomma farmaci e preparati di ogni genere….tutta quella chimica che ai nostri pennuti biologici che stramazzano al suolo stecchiti per una banale dissenteria è negata.
Ecco, dev’essere stato allora che ho  deciso di andarmi ad ubriacare ed è in memoria di tutti i polli e conigli caduti a causa di mali e disturbi tanto biologici quanto letali che sto bevendo stasera. Perché in ogni aspetto dell’esperienza umana io trovo che ci voglia misura ed equilibrio e che non si debba esagerare, mai neanche per uno scopo apparentemente nobile.
Perché mi sono chiesta dove sarei adesso se da piccola non mi avessero fatto le vaccinazioni obbligatorie o se mia madre avesse preteso di curare il mio morbillo con l’estratto di radice di rabarbaro, perché tutti coloro che predicano il ritorno a un’alimentazione eco-compatibile dovrebbero anche dichiararsi disposti a sacrificare le ferie per stare in mezzo all’orto sotto il sole d’agosto o a passare le serate dietro l’acquaio per ore con l’eco-grembiule di ordinanza a preparare cavoli, broccoli e lattughe secondo le ricette della nonna.
Perché mangiare è una questione culturale e la soluzione ai problemi di una società non può essere azzerare ciò che sappiamo per tornare semplicemente, stupidamente, ciecamente al passato….ci vuole di più di un cavolo-verza e ogni tanto ci vuole senz’altro una bella Coca-Cola ghiacciata.






sabato 13 agosto 2011

Non buttate via le erbacce 2


Ormai non posso più far finta di ignorarlo: quando il signor Leonardo mi vede una luce si accende nei suoi occhi nocciola dietro alle spesse lenti da miope. Mi viene incontro sorridendo, tutto agitato e prima ancora che io abbia avuto il tempo di dire che cosa mi serve il nostro pick-up aziendale è già stracolmo di chili e chili di merce a un prezzo stracciato che Leonardo ha amorevolmente messo da parte per me durante tutta la settimana.
Un’altra a quest’ora si sarebbe già fatta strane idee, ma io lo so che i sorrisi e le premure di questo simpatico grossista di frutta e verdura sulla cinquantina non sono per me sono per i miei maiali.
Sono entrata nel suo magazzino un pomeriggio di inizio estate: << salve vengo da un’azienda vicina>> ho detto << facciamo agricoltura biologica>> il signor Leonardo non s’è scomposto più i tanto, ha fatto passare la biro da un orecchio all’altro con aria scocciata: << eh allora? >> << no, niente…è che noi alleviamo maiali di cinta senese..>> è stato in quel momento che l’ho visto per la prima volta, il sorriso colmo di amore,brama e desiderio, perché il signor Leonardo ha capito subito che cosa volevo da lui: << venga, venga…>> mi ha detto fregandosi le mani mentre si dirigeva verso la cella frigorifera, e io l’ho seguito e ho visto. Ho visto qualcosa che non avrei mai voluto vedere a dire la verità ma che nonostante tutto è un’immagine di importanza storica, quelle scene che racchiudono in se un’epoca come le ragazzine in minigonna che svengono al concerto dei Beatles per gli anni ’60 ….ho visto i ragazzi di Leonardo, di ritorno dal giro di distribuzione per mercati e negozi che buttavano via la frutta e la verdura. La tiravano via dalle cassette coperte dal cellophane: pere, mele, banane, pesche, ortaggi gettati nella spazzatura solo perché appena più maturi o con una piccola imperfezione. Non sto parlando di prodotti putrefatti e marcescenti o di frutta coperta di vermi sto parlando di banane lievemente annerite in un punto o di pomodori troppo maturi per un insalata ma ottimi per fare la conserva…sto parlando di chili di roba da mangiare che stava partendo per la discarica, roba buona, calorie, fonti di vitamine che presto sarebbero state gettate a palate dentro un inceneritore.
<< Lo sai quanto mi costa buttarla via?>> Mi ha chiesto il signor Leonardo passandosi la biro sulla lingua e tirando fuori il suo immancabile taccuino sgualcito da commerciante << dai prova…di, dì un cifra…>> la cifra è consistente ma pare che non ci sia scelta: i supermercati, i piccoli negozi al dettaglio, la catena di distribuzione insomma vuole solo la frutta e la verdura freschissima, pulita, perfetta il resto va nella spazzatura: non esiste un mercato dei prodotti di seconda scelta magari per le mense, per le associazioni di volontariato o che ne so per le trattorie….niente, si butta via tutto. Come tutti i bambini cresciuti negli anni ’80 anch’io sono stata a suo tempo terrorizzata dalla frase:<< finisci le verdure che i bambini africani muoiono di fame>> come tutti i bambini degli anni ’80 pur solidale con i miei coetanei africani continuavo a rifiutarmi di mangiare gli spinaci. Adesso ho capito perché: inconsciamente dovevo aver intuito che il contributo più grande all’aumento della fame nel mondo non lo davo io con i miei disgusti verso i cavoletti di bruxelles o le prugne bensì mia madre quando si voltava sdegnata verso il fruttarolo e diceva: << ma quest’uva è troppo matura!>>. Ed è così che i miei maiali già facenti funzione di spazzini all’interno della nostra fattoria grazie alla loro insaziabile fame ora aiutano anche il signor Leonardo a fare pulizia all’interno del suo magazzino.
Quando il mio capo mi ha mandato da lui con precise istruzioni di chiedere la frutta di seconda scelta ho pensato, come sempre, che fosse un cretino: << Figurati quanto me la faranno pagare>> pensavo << figurati se danno via la frutta per i maiali così…va bhè che i maiali in estate hanno bisogno di vitamine, ma andargli a comprare la frutta come fossero cristiani mi sembra esagerato>>. Sbagliavo, non sapevo quello che il mio capo sapeva: al signor Leonardo arrivano ad avanzare anche venti, trenta cassette di merce…non mi chiedete quanti chili sono che mi viene il mal di testa per favore. Quello che so è che per stabilire un prezzo non ho dovuto neanche accennare una contrattazione, Leonardo ha alzato le spalle senza esitare: << dammi cinque euro e portati via tutto quello che riesci a caricare>>. Ho capito che se fossi stata solo un po’ più paracula lui quella frutta avrebbe finito per regalarmela. Per smaltirla gli toccherebbe pagare per la benzina, per il lavoro di quelli che la trasportano in discarica, la provvidenziale e incontenibile fame dei nostri suini gli toglie dalle spalle una bella rogna.
Stanotte ho fatto un sogno strano, inquietante e allegro a un tempo: i miei maiali invadevano Napoli. Sciamavano in branco a San Gregorio Armeno, al Rione Sanità, a Posillipo persino in Piazza del Plebiscito, guidavano una sorta di adunanza plenaria dei suinidi e grufando richiamavano a gran voce i loro simili o parenti prossimi: cinghiali, maialini rosa e domestici e persino i piccoli maialetti vietnamiti che da qualche anno in tante case vengono tenuti come animali da compagnia, insieme formavano un gruppo enorme che passando per i vicoli veniva salutato da scugnizzi e monelli i quali a loro volta si mettevano a correre e a vociare. Mentre i bambini giocavano e correvano i maiali si buttavano spavaldamente sulla monnezza di Napoli: con metodo e disciplina passavano in rassegna un quartiere dopo l’altro, mangiando tutto quello che riuscivano a masticare. Il resto: plastica, vetro, lattine, pezzi di legno e di lamiera veniva sminuzzato e macinato dalle grosse zanne dei cinghiali toscani, forti e vigorosi.
Ai commercianti e ai disoccupati, ai vigili urbani e ai camorristi, ai politici e ai cantanti neomelodici non restava altro che stare a guardare i miei animali che mettevano ordine nella loro città e i bambini vedendo gli adulti muti e attoniti, prendevano a canzonarli per la loro inettitudine.
E una volta spazzolati persino gli enormi cumuli di spazzatura che giacevano in discarica, nel cuore della notte, mentre la città dormiva, Sofia la più anziana delle mie scrofe attraversava col suo passo pesante tutto il centro storico per andare a sdraiarsi davanti al palazzo comunale, proprio sulla soglia dell’ufficio del sindaco che l’indomani recandosi come ogni giorno al lavoro se la ritrovava lì davanti intenta a divorargli lo zerbino. Con l’enorme naso da maiale prendeva ad annusare i pantaloni del primo cittadino e i suoi occhi grigi, seminascosti sotto le orecchie nere e flosce  chiedevano: << perché?>> Come sanno chiederlo solo gli animali e i bambini: senza rabbia ne arroganza, senza aspettarsi risposte ragionevoli, con l’innocenza dei semplici la cui anima non concepisce il male, ne lo spreco.