sabato 30 luglio 2011

Radda in Chianti vs Massa dei Sabbioni

Massa dei Sabbioni - panorama


Ricordate quella pubblicità in cui un famoso giocatore di calcio sta accanto al suo doppio mostruoso? Cassano, se non sbaglio, accanto a un Cassano grasso, scarmigliato, con i denti marci ma con l’identica divisa calcistica dell’originale.
Io ripenso a quello spot ogni mattina mentre salgo in macchina  al lavoro: anche qui in Chianti infatti ogni cosa bella ha il suo doppio mostruoso.  Basta scollinare, superare la zona più turistica e suggestiva e tutto si trasforma pur restando nei suoi tratti fondamentali uguale.
Così ho deciso di rendere pubblico il confronto: Massa dei Sabbioni vs Radda in Chianti, ditemi un po’ che ve ne pare.
Massa dei Sabbioni è il posto dove ho trovato casa a un tiro di schioppo da San Giovanni Valdarno. Quando ci arrivai in macchina, ormai più di sei mesi fa, mi guardavo in giro chiedendomi: ma il Chianti dov’è? Negli anni ‘50 questo era un luogo dove abitavano i lavoratori delle vicine miniere di lignite adesso le miniere di lignite non ci sono più, in compenso c’è un’enorme centrale elettrica dell’Enel a pochi chilometri di distanza. Il panorama che si gode da una qualunque finestra di Massa è identico a quello della Springfield simpsoniana: due enormi torri di raffreddamento rilasciano nuvolette di fumo bianco-grigiastro. A Massa dei Sabbioni non c’è un negozio di alimentari, un tabacchi, un caffè, la chiesa è un brutto edificio anni ‘40 che a prima vista non ha niente di apprezzabile da mostrare, il circolo Arci è aperto solo di sera. Ci sono gli ulivi, ci sono le viti, ci sono le vecchie case toscane con i travi a vista e ci sono ovviamente i toscani o meglio i chiantigiani dentro. Ma tante di quelle vecchie case stanno cadendo a pezzi, lentamente, circondate da viti e ulivi malcurati, i fienili, le stalle sono ormai abbandonati e la piccola valle è punteggiata da gruppi di orrende bifamiliari costruite in serie gialle o arancioni, case decenti e nuovissime ma così prive di personalità e carattere che tranquillamente potrebbero essere trasportate in Umbria o in Molise per magia e non si noterebbe la differenza. In queste case abita gente che magari lavora altrove, gente che aveva il nonno minatore o  il papà impiegato alla centrale termoelettrica.

Radda in Chianti è sul versante senese, a pochi chilometri di distanza dalla mia azienda agricola. Un borgo medievale perfettamente conservato con le mura, la torre, il palazzo comunale adorno di stemmi medicei sulla facciata, un posto dove niente è lasciato al caso e tutto è pensato per il turista. Mi sono guardata intorno mentre passeggiavo per il corso principale e ho concluso che probabilmente in quel corso non abita più un solo raddese: le maggior parte delle case ben ristrutturate ospitano camere in affitto o bed and breakfast, i piani terreni che un tempo dovevano essere stalle o rimesse sono stati trasformati in ristoranti, esercizi commerciali, atelier che vendono artigianato locale, negozi di gastronomia e enoteche che traboccano di prosciutti di cinta senese e di bottiglie di Chianti doc.
Tutt’intorno ci sono gli ulivi e le viti e le vecchie case toscane con i travi a vista sul soffitto e scommetto che esiste una bella normativa comunale per impedire che questo splendido paesaggio  sia rovinato da qualche costruttore edile specializzato nella fabbricazione di villette a schiera fatte in serie gialle o arancioni.
Ora se per caso mi venisse in mente di chiedere a qualcuno di voi dove vorrebbe abitare in caso si trovasse a impazzire e decidesse dall’oggi al domani di fare il contadino e di trasferirsi qui dalla città credo che la risposta sarebbe abbastanza scontata.
Radda in Chianti - panorama
Ma la vera domanda che la mia mente assonnata rimastica alle sei di mattina quando mi avvio verso il lavoro è: perché Massa dei Sabbioni non è come Radda in Chianti? Perché questa gente vuole vivere nelle bifamiliari gialle o arancioni di rara bruttezza? Mentre voi convocate una tavola rotonda di economisti, antropologi, psicologi e agronomi io me ne sto qui, alla finestra a guardare il figlio dei vicini che lucida la sua immensa moto cromata in quella che una volta doveva essere l’aia di una casa colonica. Porta una di quelle magliette con le ali da angelo sulla schiena, ha le scarpe firmate, dietro alle sue spalle arriva lo zio sul trattore che trasposta balle di fieno: lui continua a lucidare gettandogli di sfuggita uno sguardo carico di disprezzo, scommetto che con i suoi vent’anni, su quel trattore non c’è  salito neanche una volta. Radda in Chianti e i suoi vigneti, i suoi oliveti, le sue cantine dove la sera si fanno cene e degustazioni è a pochi chilometri, oltre la collina, ma posso giurarci che il mio ragazzo sulla moto stasera se ne andrà verso il Valdarno, verso la pianura dove sulla stessa provinciale si allineano uno dopo l’altro centri commerciali e cinema multisala, discoteche, pub e wine bar. Suo zio invece, dopo aver faticato tutto il giorno se ne starà a casa, nella bifamiliare arancione, a guardare uno dei tremila canali della sua tv satellitare.  I miei vicini, l’avrete capito, non mi piacciono. Tra me e me li chiamo “I Mostri” e fatico a distinguerli l’uno dall’altro persi come sono in una numerosa tribù familiare di cui non sono riuscita ancora a cogliere le gerarchie parentali. E se devo dirla tutta non mi piacciono neanche gli americani che passeggiano beati per il corso di Radda in Chianti credendo che questo piccolo comune tirato a lucido per attirare i loro dollari sia reale.
Mi pare che entrambi, vicini mostruosi e turisti trasognati siano in cerca di qualcosa che non hanno e che non potranno avere mai, mi sembra che tutto sarebbe meno distorto se ognuno provasse a stare al suo posto: gli americani dentro gli wine bar e i raddesi dentro le case di Radda in Chianti….o no?

giovedì 14 luglio 2011

presa!

 I cacciatori, solitamente, si vantano. Siccome qui in Chianti qualunque maschio sopra i diciotto e sotto i sessant’anni è un cacciatore sono sei mesi che non faccio altro che sentire uomini vantarsi: << l’ho atterrato con un colpo solo…da sessanta metri….era grosso così…pesava tanto……andava così veloce che a mala pena sono riuscito a prendere la mira…>>. Io non mi vanterò. Dopotutto la caccia non mi piace, non sono nata in Chianti e l’ultima volta che ho controllato ero ancora femmina. Mi limiterò a riportare i fatti così come sono avvenuti, a darvi la notizia con obbiettiva essenzialità.
L’ho presa. Coloro i quali hanno perso un po’ di tempo a leggere il mio ultimo post sapranno a chi mi riferisco: ho preso Lei, l’Assassina di Elvis, la Sterminatrice di paperelle, la Rossa imprendibile e invisibile….insomma forse non proprio lei, magari sua sorella, o sua figlia, o sua zia.
Comunque, ho preso una volpe.
Il giorno successivo alla sua ultima visita – bilancio a fine visita: cinque papere scomparse e il cadavere orrendamente scempiato di un papero chiamato Elvis abbandonato in mezzo al bosco – abbiamo piazzato all’angolo di un recinto una trappola essenziale ma efficace. La trappola è lunga circa un metro e mezzo, un piccolo tunnel di rete al cui centro c’è l’esca posizionata su  un supporto collegato alle aperture del tunnel: appena l’animale tocca l’esca scattano due ganci metallici che chiudono gli accessi lasciandolo all’interno vivo, incolume ma prigioniero.
Per settimane quella trappola è rimasta vuota. Ogni volta che passavo in quei pressi, buttavo un’occhiata per vedere se per caso la volpe ci fosse cascata….niente. Fino a che ho smesso di controllare. << La volpe è troppo furba>> mi dicevo << probabilmente è capace di sentire il nostro odore sulla rete metallica della trappola, probabilmente non ci cascherà mai>>. E poi un giorno ho alzato gli occhi per caso verso l’angolo del recinto e l’ho vista. Era immobile all’interno della gabbia/trappola ormai chiusa. Mi sarei aspettata che una volta dentro prendesse a dibattersi, a camminare avanti e indietro e invece no, stava seduta al centro della gabbia, ferma. Non aveva neanche mangiato l’esca che avevamo piazzato per lei. Sembrava quasi che ci fosse entrata di sua volontà lì dentro, pur sapendo che di trappola si trattava, per farmi un favore e ora volesse dirmi con quel suo starsene ferma:<< hai visto? Sei contenta? Sono venuta….e ora che facciamo?>>. Mi sono avvicinata: aveva il pelo fulvo ma era piccola più di quanto mi aspettassi tanto che ad una prima occhiata ho pensato si trattasse di un cucciolo. Era bella a vedersi con due occhi giallo ambrati e le orecchie grandi. Sembrava tranquilla, quasi composta in una posa carica di fierezza e dignità ma appena mi sono avvicinata un po’ di più ha iniziato a mostrare i denti e a dibattersi e faceva uno strano verso, ridicolo, una specie di schioccar di lingua o di sbattere di mascelle….una cosa davvero buffa e per niente adeguata ad un feroce predatore. Nei giorni precedenti i miei colleghi-uomini-cacciatori avevano fatto svariate ipotesi su che fine far fare alla volpe una volta catturata: affogarla nella cisterna dell’acqua, caricarla in macchina e liberarla a trenta chilometri di distanza….le opinioni erano discordanti. Ho visto passare a una ventina di metri di distanza uno di loro, uno della fazione “esiliamola in terra straniera” ho gridato: << abbiamo preso la volpe>>
<< aspetta>> mi ha risposto << il tempo di andare a sistemare una faccenda e arrivo>>. A sentirci urlare la volpe si è agitata ancor di più, continuando a mostrarmi i denti e a fare quel suo verso comico.
Ho deciso che non avrei aspettato nessuno. Ho avvicinato la gabbia al margine del bosco e stando ben attenta a non rischiare che uscendo corresse nella mia direzione – le volpi come tutti gli animali selvatici possono con un morso attaccare la rabbia – ho sfilato la lamiera che chiudeva la trappola lasciandola libera.
Si, lo so, sono una pappa molla. Avevo giurato di vendicare Elvis e tutte le sue cinque mogli…avevo giurato di prendermi la rivincita contro la volpe che scaltra, spietata, aveva violato i miei confini e ucciso i miei animali lasciandomi lì con un palmo di naso.
Ma che volete farci? M’è presa così. A vedermela lì, magra, piccola, impaurita con i segni della fame sul muso appuntito e nervoso, mi sono detta: << poveraccia, che brutta vita dev’essere quella della volpe>>. Io vivo in una specie di purgatorio bucolico fatto di lavoro e splendidi tramonti ma nel paese dove abito non c’è neanche un bar, il televisore prende solo tre canali, la connessione internet è ferma all’era pre-adsl, quando gli uomini mangiavano carne cruda e  facebook non era stato inventato.
Date le condizioni ambientali una come me, che divorava un paio di quotidiani al giorno è ridotta a guardare il tg quando capita…più o meno due volte alla settimana.
Ormai le cose le so “per sentito dire”. Ho sentito dire che sul fronte economia non ci sono buone notizie. Il volume altissimo della tv accesa dal mio vicino ieri sera mentre io mi lavavo i denti alle nove e mezza prima di andare a letto mi ha permesso di sapere che la borsa italiana è stata “attaccata” da manovre speculative, che i mercati finanziari non ci vedono tanto di buon occhio, che Tremonti è andato in parlamento con una manovra di lacrime e sangue, che l’Italia viene accostata sempre più spesso alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo e non per la cordialità della popolazione e gli splendidi paesaggi che condivide con questi tre paesi europei.
La crisi fa paura, i miei amici perdono il lavoro, io stessa sono stata disoccupata per più di un anno…..ma la paura infondo è una questione di prospettiva. Con la volpe è stato così. Ciò che mi aveva fatto paura, che mi aveva suscitato sentimenti di frustrazione e di rabbia…il mostro venuto di notte a uccidere e terrorizzare…..era un animaletto ridicolo e affamato, misero, disgraziato e ramingo. Certo, era pur sempre un predatore, poteva uccidere e ferire….ma non riusciva a incutermi un timore che fosse venato di rispetto come avrebbe fatto un lupo ad esempio, o un leone magari…questione di prospettiva.
<< Ma che hai fatto? L’hai lasciata andare?>> Mi ha chiesto il mio collega di fronte alla trappola vuota: << ma si>> ho risposto alzando le spalle << era solo una volpe>>. 

domenica 3 luglio 2011

e poi arriva la volpe...

Gli amici di Radda in Chianti piangono la scomparsa di Elvis
caduto nel vano tentativo di difendere le papere e l'onore!

 E poi arriva la volpe. Ti avevano detto che gira nei boschi, che probabilmente la sua tana non è lontano, che negli anni passati ha fatto strage di animali nella nostra come nelle altre fattorie. Te l’avevano detto si, te l’avevano detto tutti e tu avevi diligentemente controllato le recinzioni, chiuso gli animali nei loro ricoveri la notte…ma poi i giorni, le settimane, i mesi, passano e lei non arriva. E allora, ti dici, siamo più furbi noi della volpe, allora la volpe è solo uno spauracchio per spaventare i pavidi, allora è una favola, una leggenda di questi vecchi contadini chiantigiani, la volpe che entra nel pollaio, la volpe che va a rubare l’uva come nelle favole di Fedro…la volpe per te è solo quella che a scuola coloravi nell’abbecedario per imparare a compitare la lettera V. La volpe ormai non si insinua più nelle fattorie a rubare le galline. È un archetipo, ti ripeti, un “modo di dire” come “ gallina vecchia fa buon brodo” e chi è oggi che si mette a fare il brodo con una vecchia gallina?
Insomma con suprema, contemporanea arroganza ti rifiuti di credere che la venuta della volpe sia un evento probabile oltre che plausibile…..e poi un sabato pomeriggio, sul tardi vai a chiudere gli animali per la notte e ti accorgi che c’è qualcosa di strano. Le pecore stanno belando incessantemente al contrario di tutti gli altri animali della fattoria che sono silenziosi e immobili. Sarà un caso, sarà una combinazione ma anche l’aria è ferma, il cielo pieno di nuvole, una di quelle giornate dove tra un minuto inizia un temporale…e i minuti passano ma la pioggia non arriva. E quando arrivi nel recinto delle papere i tuoi stupidi arroganti neuroni contemporanei non riescono a capire subito che cosa è successo, i tuoi stupidi, arroganti neuroni sono abituati a valutare e ponderare scenari comprensibili e intellegibili, scenari dominati da leggi positive e cartesiane, i tuoi stupidi arroganti neuroni allevati a pane e serie tv alla C.S.I non sanno che fare di fronte a un recinto chiuso, privo di aperture o lacerazioni dove fino a poche ore prima giravano indisturbate cinque paperelle e adesso di loro non c’è nessuna traccia.
E mentre sei lì a chiederti dove siano finite vedi il cadavere di Elvis steso a terra in mezzo a un mucchio di bianche piume. No, il re del Rock non è venuto fino in Chianti per morire in mezzo alle nostre papere dopo aver simulato più di trent’anni fa la sua prima morte, Elvis era solo il papero bianco e nero così ribattezzato  in virtù del suo ciuffo di piume dritte sulla testa. Mi piace pensare che Elvis abbia provato a difendere la famiglia ma che sia caduto onorevolmente data anche la sua scarsa prestanza fisica: era piuttosto obeso il nostro papero come il suo omonimo nell’ultimo scorcio di carriera e probabilmente per questo la volpe si è evitata la fatica di portare i suoi resti fuori, fino alla tana dove i suoi cuccioli aspettavano la cena.
A parte il cadavere di Elvis e qualche piuma qua e la non è rimasta traccia di questo crimine: nessun impronta sul terreno, neanche una macchiolina di sangue. Il giorno seguente, come una cretina, ho passato la mattinata a controllare tutto il perimetro di reti che delimitano il bosco dove stanno gli animali: passo passo, cercavo il buco, la breccia dalla quale la maledetta volpe poteva essere entrata. Niente. Neanche un forellino. M. il grande M, cacciatore, coltivatore e muratore oltre che mio maestro di vita che mi ha insegnato a murare a secco e a zappare mi ha guardato divertito scandagliare la recinzione e si è messo a ridere: << La volpe è rossa come il diavolo>> ha detto con lo stesso sguardo furbo di quando mi vede china nei riquadri dell’orto a strappare le erbacce e dice << l’orto vuole l’uomo morto>>. Alla fine non era neanche il dispiacere per le papere crudelmente assassinate… era che mi bruciava, ecco, mi bruciava essere stata fregata e non riuscire a capire come, mentre M. sornione se la rideva ho capito chiaramente che dietro al mio disappunto c’era qualcos’altro.
Il fatto è che ho avuto una strana sensazione di  deja vu quando sono entrata in quel recinto e lentamente ho realizzato l’accaduto: come se non mi fosse nuova quest’esperienza.  
Ho chiuso gli occhi per un attimo, solo un attimo e mi sono accorta che si, l’avevo già provato: quel senso di panico e smarrimento, nel non sapere, nel non capire COSA ti sta accadendo, da dove arriva il pericolo e perché. È stato il giorno in cui ho perso il lavoro, il MIO lavoro, quello per cui avevo studiato e mi ero formata, il lavoro che per me non era un’avventura occasionale da B.R.A ma un motivo di realizzazione e di soddisfazione, quel lavoro che la crisi economica e la follia di un capo incapace di gestire le risorse a sua disposizione mi hanno portato via.
In quel giorno come in questo non sono riuscita a capire la dinamica dell’accaduto e sono rimasta lì a bocca aperta senza sapere che fare. Cercavo anche allora  una breccia, un buco nella rete cercavo di capire cosa non aveva funzionato o anche dove avevo sbagliato….anche se sapevo benissimo di non aver sbagliato niente. Perché tu puoi fare anche tutto giusto: chiudere le recinzioni, serrare i cancelli, controllare il perimetro e tenere gli animali al riparo….ma tutte queste buone pratiche ti danno solo l’illusione di poter controllare qualcosa di incontrollabile. La verità è che la volpe è un predatore, un animale programmato per uccidere e cacciare e nonostante tutto il tuo impegno nel suo modus operandi ci sarà sempre qualcosa che ti sfugge, qualcosa di imponderabile e piuttosto inquietante che noi uomini non riusciamo a vedere.
Ed è lo stesso per la mia generazione: ci avevano detto che se facevamo i compiti, prendevamo la laurea, affrontavamo senza fiatare stage gratuiti e master costosissimi alla fine sarebbe arrivato il premio, il passo in avanti nella scala social evolutiva, il piccolo passo che i nostri genitori non avevano potuto – in maggioranza – permettersi: non solo un lavoro sicuro, ma un lavoro che ci piaceva e ci gratificava. Ma poi è arrivata la volpe e siamo rimasti senza gratificazioni ma anche senza lavoro e senza futuro….e non è colpa nostra, non siamo noi ad aver dimenticato un cancello aperto o ad aver fatto entrare un pericoloso predatore. Qualcosa ci è sfuggito perché nessuno ci aveva preparato a coglierne i segni e non c’è niente che possiamo fare adesso se non imparare a “tenere botta” e incassare.
Dicono che la volpe sia capace di abbaiare come i cani, io non l’ho mai sentita da quando lavoro quaggiù. È un suono sinistro, mi hanno raccontato, a metà tra un lamento e un ululato, è un suono che mette freddo e fa paura. Va bene terrò botta e me ne starò buona perché questa volta ha vinto lei anche se non so come è riuscita a violare le nostre difese, per consolarmi della perdita di Elvis sto imparando a guidare il trattore e ad ogni buon conto all’angolo della recinzione ho piazzato una bella trappola con tanto di esca, magari chissà la prossima volta vinco io, magari riesco a prenderla, la volpe, o almeno a capire come riesce a entrare e a portarsi via cose mie, mie per merito e per diritto.